Michael Nyman

E' un violino maledettamente difettoso.

Sai se il mio violino è o non è intonato?

Dovrebbero essere quinte.

E' stato accordato in modo curioso.

Il ponte è troppo alto di un miglio e l'anima è troppo in basso.

Ascolta. Non è male questo tono.

Diddle...dun.

Non è difficile suonare davanti a dei buoni giudici.

Ma c'è un uomo lì.

No, non quello con il sacco sotto il braccio.

L'uomo serio in nero.

Signore preferirei suonar piuttosto un capriccio davanti a Calliope stessa, che muovere il mio arco sul mio violino proprio davanti a quell'uomo.

E tuttavia io scommetterò il mio Stradivarius contro uno scacciapensieri (che è la scommessa più grande che sia stata mai fatta) che io mi fermerò a trecentocinquanta leghe fuori tempo col mio

violino senza toccare un singolo nervo che gli appartenga.

Twaddle, diddle, weddle diddle.

Signore vi ho rovinato

Ma voi vedete che non è peggiorato.

E fu Apollo a prendere il suo violino dopo di me.

Lui non può fare di meglio per lui.

Diddle...didle...

 

 

Meredit Monk

Creare un'arte che abbatta le frontiere fra le discipline, un'arte che a sua volta diventi una metafora per aprire il pensiero, la percezione, l'esperienza.

Un'arte che sia inclusiva piuttosto che esclusiva; che sia espansiva,  totale, umana, a più dimensioni.

Un'arte che purifichi i sensi, che offra intuito, sentimento, magia. Che permetta al pubblico forse di vedere cose conosciute in un modo nuovo, fresco, che dia loro la possibilità di sentirsi più vivi.

Un'arte che cerchi di ristabilire l'unità che esiste nella musica, nel teatro e nella danza, la totalità che si trova in alcune culture come nel Kabuki, nel Katakali e nelle antiche fonti di precedente spettacolo.

Un'arte che raggiunga l'emozione per la quale Non abbiamo parole e che a stento ricordiamo, un'arte che affermi il mondo dei sentimenti in un tempo ed in una società dove i sentimenti sono stati sistematicamente eliminati.

 

 

Peter Gordon

 

 

Pierluigi Castellano

 

 

Arto Lindsay

 

 

Snakefinger and Vestal Virgins

 

 

Monolite

 

 

David Thomas and Accordian Club

 

 

Terry Riley

 

 

Doubling Riders

 

 

Giovanni Sturmann

 

 

Time Zones continua  a percorrere le strade della musica che si perde in labirinti di sonorità lontane, che, nata come un fenomeno a sé stante, è diventata parte integrante di quanto stanno esprimendo oggi le migliori produzioni musicali. Succede così che, oltre a volgersi alle fonti del passato, le nuove produzioni sono intrise del suon o "strano" di questi ricercatori. Pensate al clima e al respiro della musica degli U2 e di quella di Prince, sebbene siano diverse, ascoltandole è possibile rintracciare nel carattere della chitarra di "the Edge" e nella "sinfonicità sincopata" di Prince il soffio di alcuni di questi profeti.

Si è così determinato un rapporto dovuto senz'altro alle collaborazioni ed alle "produzioni intelligenti", ma dovuto anche all'allargamento dell'area di fruizione di questa musica ed all'estensione dei canali di diffusione, attraverso il contributo offerto al cinema, al teatro, alla danza. E' in corso una specie di rimescolamento tra stili differenti, qualcosa di più delle contaminazioni più volte citate, dove musicisti come Nyman, Riley, Hassel, Glas sembrano essere i padri della nuova musica, figliastri dell'avanguardia storica. I nuovi linguaggi, l'applicazione intelligente delle nuove tecnologie in un contesto completamente slegato dal discorso commerciale, sono infatti eredità che questi musicisti, a volte loro malgrado, hanno ricevuto dalla tradizione colta che tanto ha determinato nel nostro secolo (Schaemberg, Dalla Piccola, Cage). Non topi di studio, ma schegge erranti in mille direzioni, ingegneri di sonorità aeree, in combutta con il suono dei propri spazi interiori e con l'insoddisfazione delle proprie orecchie.

Senza enfatizzare rileviamo con passione l'importanza del lavoro di questi procacciatori di sensazioni musicali diverse. Va a loro riconosciuto il merito di consegnare alla musica un carattere evocativo proprio e non riflesso. "Only you" ci può rimandare a ricordi di un passato in bianco e nero che non esiste più, "Apollo" di Eno apre il nostro cervello su cieli che sembrano non esistere. Dal suono della voce dei Platters è facile risalire a paesaggi provenienti dal sogno, tribali per assonanza, magari urbani e stridenti come il basso di Bill Laswell, ma inesistenti, da inventare.

E quando raramente queste due valenze convivono, come per esempio in "Dark side of the moon", la musica ci rimanda all'immaginario del sogno, quel respiro psichedelico che nello stesso tempo è scenario di morte.

Suono e parola nella stessa maniera: "The sun is the same in the relative way, but you're older, shorter of breath and one day closer to death" (il sole è lo stesso nella solita via, ma tu sei invecchiato, hai il respiro più corto e di un giorno più vicino alla morte".

Probabilmente è questo il motivo per cui tanta musica per film risiede tra i suoni di cui stiamo parlando. Nyman, Riley ed Eno stesso giocano facile anche quando a volte succede che la colonna sonora si sviluppa autonomamente sino ad andare oltre il film. Pensate a "Il mistero dei giardini di Compton House" o "Per un pugno di dollari" di Morricone, musiche che visualizzano autonomamente il film paradossalmente più delle immagini stesse. Musique rêvée. Musica sognata pertanto, come ha detto qualcuno, ragnatela che si va tessendo più intorno a spazi dell'inconscio che a difese del pensiero vigile. Questa musica è come quel "pazzo entrato nella testa che ha chiuso la porta ed ha buttato via la chiave", l'andare a cercare suoni sempre più lontani, ed a volte di difficile ascolto è l'agitarsi di un folle su un prato, maestro computo dietro i suoi occhiali da musicista, difficile da portare sulla retta via.

Gianluigi Trevisi

Direttore artistico del festival

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